Online “Didattica inclusiva e Bes. Innovazione, modelli e strumenti. Inclusive teaching and BES. Innovation, models and tools.”

SUPPLEMENTO Volume 1 Numero 1 ANNO VI Gennaio/Giugno 2025

ISSN 2705-0351 (online) Rivista Classe A 

Introduzione

Paolina Mulè

Università di Catania

Correspondence: paolina.mule@unict.it

In questi anni di esperienze formative, di studi, di successi e insuccessi, abbiamo capito che la prospettiva inclusiva è la strada “maestra” per la nostra scuola e per le nostre istituzioni formative (d’Alonzo; Bocci, 2015). D’altro canto, è in atto in tutte le società avanzate, grazie anche all’azione di organismi internazionali, un processo di analisi continua della scuola e degli studi intorno alla formazione del docente inclusivo e della sua azione didattica, volta a promuovere un’educazione di qualità, equa ed inclusiva per tutti e per ciascuno. A tal proposito, i diritti delle persone con disabilità e il dovere di non lasciare nessuno indietro sono evidenziati anche dal quarto obiettivo dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030, sottoscritta da 193 Paesi membri dell’ONU nel 2015, che mira, in particolare, a «fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti e […] costruire e adeguare le strutture scolastiche in modo che siano adatte alle esigenze dei bambini, alla disabilità e alle differenze di genere e fornire ambienti di apprendimento sicuri, non violenti, inclusivi ed efficaci per una scuola di tutti e di ciascuno» (www. unirc.org).

In questa prospettiva, l’inclusione rappresenta un processo dinamico e multidimensionale che si svela attraverso molteplici forme, legati ad alcuni ruoli e funzioni sociali, alle risorse economiche, ai beni relazionali, alla comunicazione ed alla formazione (Mulè, 2021). Ne consegue che bisogna essere dei docenti inclusivi con obiettivi chiari da raggiungere, flessibili attraverso la comunicazione reciproca, il dialogo interpersonale, la relazione umana, senza mai perdere di vista la propria motivazione e formazione continua, veri volani dell’agire professionale.

Per tale ragione, si auspica l’agire didattico da parte dei docenti in relazione alla totalità delle situazioni che ruotano attorno agli studenti, ponendo particolare attenzione ai funzionamenti, ai talenti e alle potenzialità di tutti e di ciascuno.

In questa prospettiva, il numero di Educrazia. Rivista di riflessione pedagogiche e didattiche dedica un approfondimento speciale alla Didattica inclusiva e Bes. Innovazione, modelli e strumenti. Lungo questa direzione si pone il contributo di Daniela Gulisano dal titolo L’agire didattico del docente inclusivo. Alcune risultanze di un’Indagine Esplorativa Nazionale effettuata ai Corsi di Specializzazione per le Attività di Sostegno Didattico agli Alunni con Disabilità. Partendo dalle indicazioni sviluppate dal documento internazionale dell’ European Agency for Development in Special Needs Education in relazione al “Profilo del docente inclusivo”, l’Autrice, mette a punto una «ricerca esplorativa Survey primaria su dati originali, che ha coinvolto i corsisti/docenti del I e II grado dei Corsi di Specializzazione per le Attività di Sostegno Didattico agli Alunni con Disabilità di 5 Atenei Italiani (Roma “Università Europea”, Basilicata, Lecce “Università del Salento”, Milano “Università Cattolica del Sacro Cuore”, Perugia), allo scopo di investigare, attraverso la somministrazione di un questionario mixed method, la qualità del profilo e delle competenze professionali del docente inclusivo considerando le inter-azioni “situate” della prassi didattica inclusiva». Segue il Contributo di Valentina Perciavalle dal titolo Progettare interventi scolastici inclusivi, basati sul condizionamento del comportamento, per alunni con disturbo dello spettro autistico  in cui l’Autrice propone «un’accurata analisi della letteratura, nazionale ed internazionale, in merito ai principi inclusivi che è opportuno osservare nella presa in carico di alunni e studenti con disturbo dello spettro autistico. Le strategie e le tecniche di intervento, intensive e precoci, fondate sull’Analisi del Comportamento Applicata (ABA), sono tra le più raccomandate per favorire l’inclusione di alunni e studenti con DSA». Il contributo di Corrado Muscarà dal titolo Gruppo di lavoro Operativo per l’inclusione e professionisti esterni proposti dalle famiglie. Indagine e proposte pedagogiche illustra «i risultati di una ricerca esplorativa condotta in un’area della Sicilia orientale, volta a rilevare le figure professionali esterne proposte dalle famiglie e a valutarne il contributo nei processi decisionali e progettuali del GLO. I dati raccolti consentono di confermare parzialmente le ipotesi iniziali, offrendo spunti di riflessione pedagogica sulla qualità delle interazioni tra i diversi attori coinvolti. Tra le principali evidenze emergono la necessità di un confronto sistemico sul ruolo delle figure extrascolastiche e l’urgenza di promuovere percorsi di formazione volti a rafforzare la progettazione educativa inclusiva, attraverso una collaborazione strutturata e corresponsabile tra famiglie, docenti e professionisti del territorio». Mentre, il contributo di Maria Luisa Boninelli e Susanna Piacenza dal titolo La valutazione formativa inclusiva e l’Universal Design for Learning: verso un sistema educativo equo e accessibile esplora «la valutazione formativa inclusiva (VFI) e l’Universal Design for Learning (UDL) come approcci pedagogici fondamenti per creare ambienti educativi in cui è possibile valorizzare le differenze individuali e promuovere il successo formativo di ogni studente.  La valutazione formativa inclusiva rappresenta un paradigma che supera i tradizionali modelli valutativi per abbracciare metodologie che riconoscano la variabilità e la diversità dell’acquisizione degli apprendimenti. Al contempo, l’UDL offre un framework teorico di riferimento che guida la progettazione di esperienze accessibili fin dall’inizio, eliminando barriere sistemiche e promuovendo una maggiore autonomia e consapevolezza degli studenti e delle studentesse. Ed, infine, Certini, riflette sull’Inclusione educativa, nuove culture e prospettive linguistiche,presentando il progetto LEARN. La lingua madre e le altre lingue, sviluppato dall’Università di Firenze, in collaborazione con le scuole dell’area metropolitana fiorentina, con l’associazione Good Word Citizen, l’USR Toscana e l’associazione QFI. In alcune classi della scuola primaria è stata introdotta un’ora alla settimana di lingua e cultura araba, per la durata dell’intero anno scolastico. Gli obiettivi di questo progetto sono di sviluppare un approccio didattico interdisciplinare, interculturale e plurilinguistico, cercando di evidenziare le molteplici trasformazioni e i tanti cambiamenti avvenuti a livello di cultura generale e delle conoscenze di base, nonché una buona alfabetizzazione strumentale con riferimento alla lingua araba, nell’ottica di una società sempre più planetaria, equa e giusta.

Bibliografia

Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite, Obiettivo 4: Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento per tutti (LLL), in https://unric.org/it/obiettivo-4-fornire-uneducazione-di-qualita-equa-ed-inclusiva-e-opportunita-di-apprendimento-per-tutti/, consultato il 29/06/2025.

d’Alonzo L., Bocci F., Pinnelli S. (2015). Didattica speciale per l’inclusione. Brescia: La Scuola.

Mulè P., De Luca C. (eds.). (2021). Scuola, dirigenti scolastici e docenti curricolari e di sostegno al tempo del Covid-19. Lecce: Pensa MultiMedia.

Mulè P., (eds.). (2016).  Il docente promotore dell’inclusione formativa e sociale. Lecce: Pensa Multimedia

Online “L’impatto dell’intelligenza artificiale nella didattica generale e speciale/AI’s Impact on General and Special Didactics”

VOLUME I NUMERO 2ANNO V Luglio/Dicembre 2024

ISSN 2705-0351 (online)

Introduzione

Intelligenza, intelligenza collaborativa e intelligenza artificiale generativa tra modelli e ricerche empiriche/Intelligence, Collaborative Intelligence and generative Artificial Intelligence between Models and Empirical Research

Paolina Mulè

Università di Catania

Questo numero L’impatto dell’intelligenza artificiale nella didattica generale e speciale/AI’s Impact on General and Special Didactics nasce dopo un’attenza riflessione sull’argomento da parte di numerosi studiosi di ambiti disciplinari diversi ma anche da parte di numerosi pedagogisti, di esperti di didattica generale e speciale, di ricerca educativa, di studiosi di ricerca educativa mediale che intendono confrontarsi presentando alcune ricerche che sono state condotte, evidenziando esiti positivi e negativi. Prima di entrare nel merito sull’impatto dell’intelligenza artificiale è opportuno mettere in evidenza il dibattito che è in atto, chiama in causa l’intelligenza, l’intelligenza collaborativa e l’intelligenza artificiale generativa di cambiamento nella società, nel lavoro e nei processi educativi e formativi.

Per quanto riguarda l’intelligenza umana, è noto che rappresenta quell’apparato di strumenti mentali che dà accesso all’esperienza di tutta l’umanità e ci consente di comunicare, ragionare, verificare le nostre idee, progettare il futuro. I diversi studi sull’argomento riflettono sulla definizione dell’intelligenza e come tali studi si siano evoluti nel tempo: riflessioni sulla natura, le forme e lo sviluppo dell’intelligenza e come possiamo potenziarla, tenendo conto delle sue componenti innate ma anche quelle ambientali che la influenzano. A livello teorico sull’argomento sicuramente un grande contributo è stato fornito da Gardner con le intelligenze multiple e da Sternberg con la teoria tripolare e da Goleman con l’intelligenza emotiva, offrendo prospettive complesse e articolate sull’argomento. Il primo, con la Teoria delle Intelligenze Multiple ha sostenuto che l’intelligenza non sia una singola entità misurabile con un unico test, ma piuttosto un insieme di diverse forme di abilità indipendenti. Gardner identifica almeno sette intelligenze: linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, interpersonale e intrapersonale (Gardner, 2006).  Sternberg, con la teoria tripolare mette in evidenza, invece, chel’intelligenza comprende tre componenti principali: analitica (capacità di risolvere problemi), creativa (capacità di affrontare nuove situazioni) e pratica (capacità di adattarsi all’ambiente). (Sternberg 1987). Mentre, Goleman con l’Intelligenza Emotiva, ha teorizzatosulla capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri, sottolineando l’importanza delle emozioni nel processo decisionale e nelle relazioni interpersonali (Goleman, 2011). Lo sviluppo dell’intelligenza umana è influenzato da fattori diversi: fattori genetici, fattori ambientali e l’età. La componente genetica sembra predisporre determinate capacità cognitive, ma l’ambiente gioca un ruolo cruciale nel tradurre il potenziale in funzionalità effettiva. Infatti, l’ambiente socio-culturale, le esperienze educative e le opportunità di apprendimento influenzano lo sviluppo delle abilità cognitive. Ne consegue che alcune capacità, come quelle legate all’intelligenza fluida, tendono a diminuire con l’avanzare dell’età, mentre altre, come quelle legate all’intelligenza cristallizzata, possono aumentare nel tempo. Tuttavia, nella letteratura sul tema si rinvengono studi sull’intelligenza umana, in origine, concentrati sulle valutazioni delle capacità intellettive individuali, specialmente quelle logico-matematiche e che solo intorno al 1904, grazie anche agli studi di Alfred Binet, nell’immaginario collettivo appaiono espressioni come “test d’intelligenza” e “quoziente intellettivo”. Saranno le nuove prospettive sull’intelligenza, ha dare un contributo diverso in quanto non solo hanno fornito nuove definizioni che considerano l’intelligenza come un insieme di capacità specializzate per risolvere problemi specifici, ma hanno interessato gli psicologi sullo studio delle capacità cognitive delle diverse specie, non solo sulle differenze all’interno di una specie. Negli studi sull’intelligenza umana attuali predominano, inoltre, studi sulle differenze individuali rispetto ai processi cognitivi di base ma anche focus sulle differenze nelle prestazioni intellettive tra individui di culture o gruppi etnico-sociali diversi.

Analizzando poi il concetto di intelligenza collaborativa, dobbiamo ricordare il contributo di Pierre Lévy che aveva cominciato a teorizzare sull’intelligenza collettiva intesa come una intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, capace di una mobilitazione effettiva delle competenze. In sintesi, l’intelligenza collettiva si può considerare come la capacità di una comunità di risolvere i problemi tramite la collaborazione. (Lévy, 1999). Il comportamento cooperativo degli individui appartenenti alla collettività consente la condivisione delle informazioni, del sapere e il potenziamento dei risultati individuali. Si può scegliere di lavorare da soli, facendo affidamento solo sulle proprie risorse, oppure di collaborare attivamente con una squadra, confrontandoci con punti di vista differenti e mirando ad un obiettivo comune. Dopo gli studi sull’intelligenza collettiva si affaccia nella letteratura psicologica anche l’intelligenza collaborativa che consiste proprio in questo: essere disponibile per gli altri, mettere le proprie competenze al servizio della squadra ed essere capaci di ascoltare e valutare soluzioni che fino a quel momento non si erano considerati. Quando si parla di intelligenza collaborativa bisogna stare molto attenti a non confondersi con l’intelligenza collettiva o connettiva, che fanno riferimento ad un concetto ben diverso.  Parliamo di intelligenza collettiva, ad esempio, quando si svolge una ricerca su Google e le informazioni che ottengo navigando, sono il risultato del sapere di altre persone. L’intelligenza collaborativa è, invece, qualcosa di diverso, in quanto presuppone un’interazione attiva e un confronto costante con altre persone. È noto già da J. Delors che uno dei quattro pilastri dell’educazione è sapere stare insieme e, quindi, avere la capacità di lavorare in squadra diventa una competenza estremamente importante e molto richiesta in molti settori lavorativi. Ciò implica che è compito della scuola far raggiungere questa competenza attraverso esperienze sul campo, compiti in situazione, laboratori che consentono di risolvere problemi attraverso lavori di gruppo. Lo scopo è sviluppare un pensiero critico ma anche riuscire a risolveri problemi sempre più complessi non tenendo più un solo approccio o una singola visione che appaiono oggi insufficienti ma considerazndo più approcci e visioni attraverso la collaborazione tra competenze e discipline diverse, in modo da avere una visione completa e multilaterale. Ne consegue che l’intelligenza collaborativa presuppone una sinergia tra metodi e criteri differenti e complementari tra loro, che porta ad esplorare soluzioni a cui difficilmente si arriverebbe considerando il problema da un’unica angolazione. Ciò avviene nei settori più disparati, da quello scientifico e tecnologico, ai lavori più creativi. Anche in ambito scolastico, insegnare fin da piccoli a “pensare insieme” e abituare i bambini al lavoro di squadra, diventa sempre più importante. Oggi, lo sviluppo dell’intelligenza collaborativa sta diventando sempre più importante, in quanto consente alle persone di imparare a ragionare con persone che la pensano diversamente da noi, far convergere più visioni verso un obiettivo comune, imparare a valutare tante soluzioni differenti in gruppo, sono processi fondamentali per il progresso della società. È scientificamente dimostrato che i risultati raggiungibili mediante questo tipo di approccio siano notevolmente superiori rispetto a quelli a cui si perviene seguendo una visione unilaterale. Già il filosofo José Ortega y Gasset affermava che «una civiltà può essere sopportata solo se molti contribuiscono collaborando allo sforzo. Se tutti preferiscono godersi il frutto, la civiltà affonda». (Ortega Y Gasset, 2016). Alla fine degli anni ’90 del Novecento, la scuola è stata condizionata non solo dal modello sistemico ma anche dagli studi della sociologia dell’organizzazione d’impresa, tanto da trasformare ruoli, funzioni, relazioni all’interno dell’organizzazione scolastica e, quindi, il management umanistico. Come sostiene Domènec Melé in The Challenge of Humanistic Management (Journal of Business Ethics, Volume 44, Number 1, 2003), il management può dirsi umanistico quando il suo focus è posto sulla integrità etica dell’impresa nel suo complesso e sulla valorizzazione di tutte le potenzialità della persona che opera nel contesto aziendale. Dalla letteratura scientifica della sociologia d’impresa si evince che un primo approccio allo Humanistic Management risale alla metà del ventesimo secolo, fa riferimento alla scuola delle “human relations” ed è centrato sulla motivazione. Un secondo approccio si sviluppa intorno agli anni ’80: con un focus sui processi organizzativi, prende in considerazione l’influenza della cultura d’impresa sui comportamenti individuali e sul decision-making. Ma solo nella seconda metà del XX secolo si afferma uno Humanistic Management basato sull’idea che l’impresa è fondamentalmente un convivio, una comunità di persone, e si diffonde in tutto il mondo, anche se naturalmente assume caratteristiche differenti nei singoli contesti nazionali. Tale approccio è alternativo alla pervasiva, “solida”, dittatura dello Scientific Management. Quest’ultimo affonda le sue radici in Adam Smith e nella rivoluzione industriale inglese. Ha avuto il merito di rappresentare un punto di vista specificatamente caratterizzato, con una straordinaria capacità costruttivistica e interpretativa della realtà e dell’esperienza organizzativa. A livello della produzione, i riferimenti sono stati la serialità, la standardizzazione, la specializzazione del lavoro e delle mansioni. A livello dello scambio, il mercato di massa e l’orientamento al prodotto e alla quantità. Le organizzazioni ispirate e gestite attraverso la prospettiva paradigmatica dello Scientific Management si pongono come soggetti collettivi chiusi, con una forte capacità previsiva e una visione lineare/sequenziale del processo decisionale. Lo Scientific Management formalizzato da Taylor disegna un’organizzazione in cui il potere scende dall’alto, le strategie sono defi nite da un vertice ristretto, gli obiettivi assegnati e non scelti, con un sistema di comando e controllo in cui sono i senior executives ad allocare le risorse. Prima del web era difficile immaginare alternative a questa ortodossia manageriale, ma Internet ha determinato l’esplosione di nuove forme di vita organizzativa, in cui il coordinamento si ottiene senza centralizzazione, il potere sta nelle capacità e non nei ruoli, la conoscenza condivisa trionfa sull’autoritarismo. Le comunità spontanee intorno a specifici interessi aumentano le opportunità di innovazione e le performance sono valutate dai pari. La crescente disponibilità di social software (anche gratuiti) e la massiccia introduzione sul mercato di piattaforme collaborative da parte di tutti i grandi player dell’ICT rendono oggi realizzabile questa nuova visione: la social organization. (Minghetti, 2013). Appare evidente l’inadeguatezza di un tale procedere a fronte di un mondo “complesso”, vale a dire plurale, nonché in rapido e continuo mutamento nel tempo e nello spazio remoto e di prossimità.

In conclusione, l’intelligenza artificiale generativa che si sta sviluppando rapidamente, così come le sue modalità di utilizzo da parte delle aziende, della medicina, delle istituzioni di istruzione e formazione. IA si riferisce alla capacità di eseguire compiti che normalmente richiedono l’intelligenza umana, come la risoluzione di problemi, l’apprendimento e la percezione. L’IA può essere classificata in due categorie: IA debole (narrow AI) e la IA forte (general AI). La prima è progettata per eseguire compiti specifici, mentre la seconda mira a replicare l’intelligenza umana in generale. (Porter M.E., 1980). Si può riscontrare una connessione tra l’intelligenza umana, collaborativa e artificiale generativa attraverso i concetti di complementarità, collaborazione e apprendimento. Complementarità, perché l’IA umana e l’IA possono essere complementari in quanto quest’ultima aiuta le persone ad eseguire compiti ripetitivi o complessi. Collaborazione, perché l’intelligenza collaborativa puà essere utilizzata per integrare /combinare le capacità delle persone e delle macchine per raggiungere obiettivi comuni. Apprendimento perché l’IA puà apprendere dalle persone (può essere addestrata ad essere autonoma sostiene Fortino) e migliorare le sue capacità, mentre le persone possono apprendere dalle macchine e migliorare la loro comprensione del mondo, delle cose. In buona sostanza l’intelligenza umana, collaborativa e artificiale generativa sono concetti interconnessi che possiamo utilizzare per migliorare la nostra comprensione del mondo e raggiungere obiettivi comuni.

In questa prospettiva, si muovono i saggi elaborati da studiosi che presentano ricerche teoriche ed empiriche offrendo riflessioni interessanti, seppure non esaustive, rilevando soprattutto che l’IA deve essere usata con grande responsabilità. Sicuramente essa sta producendo una grande rivoluzione nel mondo del lavoro e vi sono vantaggi ma anche svantaggi che i vari studiosi hanno considerato. Alcuni sostengono che il lavoro in futuro crea disoccupazione in quando le macchine sostituiranno l’uomo. Certamente tutto questo implica la necessità di conoscere l’IA per non subirla e regolamentarla anche sul piano giuridico, etico, della sicurezza e della privacy per non perdere di vista il rispetto dei diritti individuali. Si evince che i giovani si fidano troppo di ChatGPT che ormai è una presenza costante nei giovani e meno giovani, per cui occorre rendere consapevoli loro della funzionalità attraverso la mediazione del pensiero critico anche perché chi non comprende la tecnologia/ l’IA oggi sarà governato da chi la conosce. Il grande rischio è la manipolazione di alcuni nei confronti delle persone che dovrebbero essere informati e formati all’uso dell’IA. Infatti, oggi la maggior parte delle persone si affida all’IA per avere risposte rapide e perfette che derivano da algoritmi che non dipendono da loro ma da altri che detengono le informazioni. Ecco che occorrerà sempre più addestrare l’intelligenza artificiale generativa, applicandola ai processi educativi sia per i normodotati che per i soggetti con BES, al fine di potenziare le dimesioni didattiche, la progettazione del curricolo che consente di sviluppare l’individualizzazione e la personalizzazione ma anche automatizzare i processi didattici con un’assistenza immediata. In conclusione, l’IA può contribuire a ridurre le disuguaglianze attraverso una didattica adattata alle situazioni specifiche ma bisogna fornire agli insegnanti competenze specifiche per informare e formare gli studenti e le studentesse del nostro tempo.

BIBLIOGRAFIA

Aversa R., Kolodziej J., Zhang Jun, Amato F., Fortino G. (2013). Algorithms And Architectures For Parallel Processing (13th International Conference, Ica3pp 2013, Vietri Sul Mare, Italy, December 18-20, 2013, Proceedings, Part II). Berlino: Springer

Bolognesi F. (2024). Intelligenza artificiale. Come il Machine Learning e l’Ia Generativa possono trasformare le attività e generare vantaggi competitivi. EPC Editore

 Cuomo S., Ranieri M., Biagini G., (2024). Scuola e Intelligenza Artificiale. Percorsi di alfabetizzazione critica. Roma: Carocci

Domènec Melé, in The Challenge of Humanistic Management (Journal of Business Ethics, Volume 44, Number 1, 2003

Gardner H. (2006). Multiple Intelligences: New Horizons in Theory and Practice, New York: Basic Books

Goleman D. (2011). Intelligenza emotiva. Milano: Rizzoli

Lévy P. (1999). L’ intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio. Milano: Feltrinelli

Minghetti M. (2013). L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization. Milano: EGEA

Ortega Y Gasset J. (2016). L’uomo e la gente. Sesto San Giovanni: Mimesis

Porter M.E. (1980). Comptetitive strategy: techniques for analyzing industries and competitors. United Kingdom: Free Press.

Sternberg R. J. (1987). Teorie dell’intelligenza. Milano: Bompiani